Era il bimbo goloso di «Io speriamo che me la cavo», ora è il re dei cornetti di notte a Torino: «Ogni giorno qualcuno mi chiede se sono davvero lui»

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Di Paolo De Leo

C’era una volta «Nicola o’ ciccione»: accento napoletano, cappellino da baseball appoggiato un po’ storto in testa, e croissant – anzi cornetto – sempre in mano. Per chi è nato prima degli anni 2000 sa esattamente di chi si sta parlando: è parte del cast di «Io speriamo che me la cavo», con Paolo Villaggio e regista Lina Wertmuller. «È incredibile come la vita ti lasci già dei segni. Sono nato nel cinema con le brioche in mano, e ora sono rinato facendo mangiare cornetti alle persone». Perché Nicola in realtà si chiama Mario Bianco, ha quarant’anni e dal 2007 abita a Torino, dove dal 2011 ha avviato la linea di locali «Cornetti by night». Tutto nasce perché «mio papà era stato trasferito per lavoro qui a Torino. Con mio fratello ci siamo accorti che la sera qui erano aperti solo un paio di bar, la tradizione del cornetto di notte non esisteva» spiega Bianco.

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Cornetti di notte

«Posso dire una cosa? Napoli non la rinnego ma Torino è la mia città. Quando sono arrivato era autunno: avevo 23 anni e sono passato da corso Moncalieri, con quei colori. Posso dire che lì mi sono innamorato – racconta il pasticcere al telefono, accento napoletano che ancora oggi non ha perso -. Ora abito in zona Rebaudengo e non la cambierei mai per nulla al mondo». Ma è al Quadrilatero Romano che inizia la nuova vita di Mario Bianco, un tempo Nicola tra le vie di Napoli. «Abbiamo aperto qui il primo locale di cornetti notturni. Ho messo da parte i soldi che avevo, pochissimi per via di alcune disavventure che avevamo vissuto con la mia famiglia, e mi sono lanciato. Ora ho cinque locali: tre cornetterie e due bar di preparazione pasticceria» continua. Sono in via Delle Orfane, corso Vercelli, via Saluzzo. Poi c’è la gelatiera, la pizzeria, i cappuccini by night.«Lina Wertmuller era una regista molto esigente»

E Io speriamo che me la cavo? «Ogni giorno, ripeto ogni giorno qualcuno entra nel mio locale e mi chiede se sono davvero quel bambino – scherza il giovane -. Se devo dire non la ricordo come una grande esperienza. La regista era molto esigente per cui per due mesi di set nessuno di noi bambini ha potuto giocare a palla o fare qualcosa per il rischio di farci male e compromettere le riprese. Però credo che con quel film abbiamo raccontato una generazione. Ancora mi ricordo l’ovazione che ci hanno fatto a Napoli, fuori dal cinema, la sera della prima». 

Quindi basta cinema. «Dopo il successo del film ho preso un agente: ho lavorato subito in altri dieci progetti – conclude Bianco -. Solo che a un certo punto mi sono accorto che ero sempre collegato al cibo e al mio essere grasso per riderne. Ho detto basta: ora sono ancora legato al cibo, ma mi piace pensare che con quei cornetti regalo insieme tanti piccoli sogni»

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